giovedì 30 agosto 2012

Simone Arminio - L'odore della Sila

L'Odore della Sila

Simone Arminio

My name is Tonino Scapece. I’m from Australia, but
I was born in Policastro, Calabria, Cotrone. Ho ottantuno
anni e due mani grosse come due bibbie. Le
mani di uno che ha lavorato per tutta la vita. Una vita
passata sottoterra, a scavare. Mica facile lavorare
senza mai vedere il sole. È per questo che non ho
paura di niente. E, nonostante l’età e gli acciacchi, alla
fine sono partito. Tutti a dirmi che fai, sei pazzo? Ho
passato tutta la vita sottoterra io, gli ho detto, adesso
fatemi godere il cielo. Vuoi arrivarci prima del tempo,
in cielo? ha risposto mio figlio. No: voglio arrivarci
come dico io.
Tutta una vita a scavare, vi dicevo. Prima per il carbone,
poi con le ferrovie, alla fine per il petrolio.
In Australia ho imparato l’inglese, però lo parlo ancora
oggi a modo mio. E quando sento parlare le mie
figlie e i miei nipoti, ché loro sono nati e pasciuti in
Australia, ho un brivido di orgoglio che mi attraversa
la schiena, dalla noce del collo fino all’osso sacro. Ma
se c’è una cosa che davvero mi dispiace, è che loro
non hanno mai visto la Sila. Non hanno mai visto un
porcino, un fungo coppoluto e nemmeno quell’immensa
aureola che Dio ha voluto posare tra gli alberi,
là, alla Macchia dell’Arpa.
Ho ottantuno anni io, ma non sono mica malato. E
già lo so che, quando verrà il mio tempo, io morirò di
morte naturale. Lascio lo spazio a chi viene dopo,
niente di più e niente di meno. Come gli alberi della
Sila, no? Come i funghi, che se li tagli col coltello poi
ne cresce un altro, e un altro, e un altro ancora.
A questo penso mentre l’aereo, quasi sessant’anni
dopo, mi riporta da Melbourne a Roma. Quando
sono partito, da solo, a sedici anni, facevo il mozzo su
una nave e avevo un baule appresso che era di gran
lunga più grande di me.
Stavolta invece viaggio leggero. Alla hostess ho
detto che non avevo bagagli, e lei non ci poteva credere.
Really sir? mi ha chiesto. Really madame, e qual
è il problema. Solo il vestito che mi vedete indosso. E
gli occhiali per leggere, e una mazzina di soldi nelle
mutande, che non si sa mai. Sono le tre cose che ho
sempre portato con me, per tutta la vita.
Ma in realtà ce ne sono altre due, più segrete.
La prima ve la mostro: eccola qua, vedete? È
un’immagine della Sacra Spina, che si venera dalle
mie parti, e io la tengo da tutta la vita qui, nel taschino
che sta sopra il cuore.

La seconda, eh… come siete ficcanaso! Quella non
si tocca né si vede, caro signore mio. È un odore. Un
odore che solo io posso sentire, che mi è entrato nelle
narici quando avevo tre anni, così forte che poi non è
più uscito.
(Simone Arminio)

sabato 25 agosto 2012

I libri e l' Immortalità



“Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito... perché la lettura è un’immortalità all’indietro.”
(U. Eco)

giovedì 23 agosto 2012

Francesco Manente - C'era nu pisci ca vulia vulari


C'era nu pisci ca vulia vulari
l'aria  e'  cchiu  megghiiu
l'acqua ma stuffatu
E l'atri pisci sa ridianu
tutti ca senza sciddre
tu vulari nun poi .
Si nato pisci e pisci resterai
si nato pisci e pisci resterai.

Passano l'anni e u pisci u pia riposo
ca na manera pe vulare c'è
e journu e notte u pisci prova e riprova
vogghiu vidiri subba u cielu chi c'è
finchè nu juornu saza subba l'onda
e 'nzeme a iddru vida tanti atri pisci
vulimu vidiri subba u cielu chi c'è
vogliu viduri  subba u cielu chi c'è .

Francesco Manente
(Francesco Manente - Enzo Ziparo)

Charles Bukowski


Sono stanco di vedere facce femminili ritoccate, tette strabordanti dalle scollature in concorrenza, culi in mostra, tacchi, trucchi fetish e gesti hard da donnacce, ormai non più distinguibili da quelle del mestiere. Voglio vedere donne con la loro femminilità nei gesti morbidi e gentili, nei sorrisi aggraziati, nelle movenze seducenti, ma accennate, dalle parole dolci e decise allo stesso tempo. Dai pensieri originali e nuovi. Vorrei vedere donne indipendenti, non succubi dell'uomo a cui immolano la propria dignità, femmine dai cuori di ghiaccio fuso, compagne e amiche dell'uomo, libere e sincere. Vere.
(Charles Bukowski)

mercoledì 22 agosto 2012

Nè santi nè eroi - Le strade del ritorno

“  …..Strinse a sé il cuscino ed ebbe paura di sognare,
come se ogni volo del sonno fosse una spina in duello con il suo cuore e con il suo respiro.
Poi strinse forte le mani e gli occhi, tanto forte che ne uscì una lacrima….”



Come in una melodia suonata a quattro mani, le cui note, l’una sull’altra armonicamente inseguenti sulla tastiera della mia mente,  dipingono quadri dai paesaggi consueti, animati da personaggi  ordinari nei cui volti, cangianti nel profilo ma della stessa luce emanante dagli occhi dell’anima, ritrovo le mille persone quali il caso, il destino o una semplice coincidenza mi  ha dato di  incrociare, ma  forse mai di incontrare, perché presa, come tanti, da altri voli della mente. Recupero attraverso questi racconti le loro storie, entro nei loro vissuti o a volte nel mio, perché lì è il mio stesso sentire e la mia storia; e dalla vita intrauterina fino alla morte inseguo il senso del vivere, in cui ognuno può sapientemente ritrovarsi, ed insieme alla voracità con cui divoro le pagine di questo splendido libro, alla fine, delusa come chi assaporando qualcosa di squisito arriva a consumarlo tutto, mi rimane il  desiderio di cambiare il “né” del titolo in “tra” ( Tra santi ed eroi) , affinché emerga ancor di più che i protagonisti delle storie narrate, persone comuni dalla vita normale, sono i veri santi ed i veri eroi del nostro e di tutti i tempi, il cui obiettivo più grande, giorno dopo giorno, è danzare al meglio sul palcoscenico della vita .
Grazie agli autori per questo dono,  poiché è stato il libro a trovare me.



“Le strade del ritorno” è lo spettacolo d’esordio della Compagnia teatrale Né santi né eroi, fondata a Bologna nel 2009 e cresciuta attorno all’omonimo ‘romanzo di racconti’ (Palomar - Bari, 2008) che ha segnato l’esordio narrativo di Simone Arminio e Dario Coriale. Sotto la penna degli stessi autori, la pagina scritta si è trasformata in atto scenico.
Ne è nato uno spettacolo duttile e originale, la cui azione teatrale ruota attorno alle vicende di Vincenzo Salerno: un uomo normale, né santo né eroe.
Sfondo delle vicende narrate è un’Europa senza tempo, che dall’Italia dei primi anni Quaranta supera i confini continentali e porta sulle dune della Libia del secondo conflitto mondiale, poi nei sobborghi di una Germania dei gastarbeiter e infine all’Italia contemporanea. Poiché quello delle sue radici è il luogo dell’anima a cui Vincenzo - protagonista giramondo - tenderà costantemente, fino a farne meta, quando l’inizio e la fine della sua vita finalmente si incontreranno.



giovedì 16 agosto 2012

Carmine Abate - La Collina del vento

Sabato 18 agosto 2012 ore 21.00
Agriturismo Ceraudo - Marina di Strongoli (KR)
CARMINE ABATE
presenta il suo nuovo romanzo
LA COLLINA DEL VENTO
(Premio Selezione Campiello)
Reading con musiche di Cataldo Perri























La Calabria, una famiglia e un legame di sangue con un luogo, il Rossarco, un’altura mitica ed enigmatica a pochi chilometri dal mar Jonio. Carmine Abate racconta la sua Calabria e di nuovo il Sud è protagonista di un romanzo, in questo caso La collina del vento (Mondadori ). Il Rossarco e la sua storia si intrecciano con quella della famiglia Arcuri, in un racconto lungo cento anni che va dagli inizi del ’900 ai giorni nostri.

giovedì 9 agosto 2012

AMARE



In una calda serata di Luglio ho assistito  a S. Severina nel cortile interno del castello
ad un READING DI MUSICA E POESIA - Davide Rondoni, Angela Caccia, Enzo Muscò, Rodolfo Saraco ,una bellissima serata ben organizzata dall'assessore alla cultura di S. Severina
con i giusti intermezzi musicali e tanta bella poesia che mi sono goduto in compagnia
di mia figlia .Vi propongo la poesia che mi è rimasta nella testa quasi come un monito:

Possiamo soltanto amare, il resto non conta, non funziona.
Al mattino appaiono la tazza, il vecchio pino, le zolle umide,
fumo dell’alito mentre apri l’auto nel gelo.
Potevano non apparire, non arrivare più qui alla riva degli occhi.
E l’estate c’era, c’è, nella calda bruna memoria dei rami tagliati.
I visi diventano ricordi, le voci gridate stracci silenziosi,
i denti conoscono il sapore del niente
e l’oblio che ha portici e portici infiniti.
Possiamo soltanto amare
strappandoci felicemente figli dalla carne,
parlando d’amore continuamente ubriachi
feriti, vili, ma con gli occhi lucenti come laser
di fiori splendidi e il canarino nel palmo della mano,
mormorare come dare baci nell’aria.
Il rametto profumato non si raddrizza con i colpi della nostra ira,
lo sguardo di tuo figlio non perde il velo di tristezza
se glielo togli mille volte dal viso.
Possiamo soltanto amare fino all’ultimo nascosto spasmo che nessuno vede
e diviene quella specie di sorriso che si ha nell’abbraccio finalmente
di morire come scendendo nell’acqua.
Le stelle a miriadi saranno testimoni
e i venti passati una volta accanto sulla gioia profonda delle ossa diranno:
era fatto di allegria, amava, oppure diranno niente
e poi niente per sempre.
Possiamo soltanto amare
il resto è il teatro amaro dell’impotenza sotto il sole giaguaro.

Davide Rondoni

martedì 7 agosto 2012

Ciccilluzzo

                                                                (Mendicante)

Racconto di Ezio Scaramuzzino 

Dieci lire per Ciccillo 

Ciccillo partiva da Mesoraca verso l’alba , per poter arrivare di primo mattino in uno dei paesi del Marchesato. Ma la sua meta preferita era Scandale, che egli visitava almeno una volta al mese. Viaggiava a piedi Ciccillo, un po’ perché allora i mezzi di comunicazione erano scarsi, ma anche perché, se pure ci fossero stati, egli non aveva i soldi per pagarsi un biglietto e, se anche li avesse avuti, avrebbe certamente preferito risparmarseli, evitando un viaggio in autobus, che considerava decisamente un lusso riservato a ben altre persone. Nel viaggio egli percorreva scorciatoie e sentieri che conosceva bene e solo di tanto in tanto, nei brevi tratti in cui si trovava su una strada pubblica, si azzardava a chiedere un passaggio a qualche contadino alla guida di un carretto.

Quando il passaggio gli veniva accordato, montava in fretta e faceva la prima sosta al bivio Lenza, dove una sorta di osteria a buon mercato costituiva una prima tappa obbligata per tutti coloro che si trovassero ad attraversare quelle strade. Qui Ciccillo non perdeva tempo. Si dava un’occhiata intorno e, se erano presenti almeno due o tre persone, saliva subito su una sedia, richiamava l’attenzione dei presenti e incominciava a recitare filastrocche e scioglilingua che solo lui conosceva.

Alla fine della recita scendeva dal suo piedistallo e chiedeva dieci lire. “M’e ‘ddu’ dece lire?”, diceva, non con l’aria di chi chiede l’elemosina, ma con l’atteggiamento di chi chiede il giusto compenso per un’ esibizione artistica.

Poi, se gli era possibile, proseguiva il viaggio sul carretto e verso le otto era in paese. Si fermava anche qui in un’osteria, si faceva offrire un bicchiere di vino, quasi a voler ritemprare le forze, e poi andava incontro al suo pubblico. La notizia del suo arrivo si diffondeva in un attimo. “E’ arrivato Ciccilluzzo”, si dicevano tutti. C’erano centinaia di Ciccilli nella zona, ma Ciccilluzzo era solo lui, unico ed inconfondibile.

Ciccillo avanzava, nella strada principale del paese, alla testa di un corteo formato per lo più da monelli, che durante tutto il tragitto lo spernacchiavano e lo tormentavano crudelmente, tirandogli dietro ciottoli, tirandolo per la giacca o facendogli lo sgambetto per cercare di farlo cadere. Tra quei monelli allora c’ero anche io.

lunedì 6 agosto 2012

Manlio Rossi Doria - Una vita per il sud

                                                   (Manlio Rossi Doria primo da sx  )


 
da: Manlio Rossi Doria a Guido Dorso, 20 novembre 1944, in Manlio Rossi-Doria, Una vita per il Sud, Donzelli, 2012, pp. 5-8.

Che cosa aspettiamo?
Roma, 20 novembre 1944
Caro Guido,
ti scrivo con uno scopo preciso, ma credo che continuerò a scrivere contento d’aver finalmente afferrato il pretesto per parlare con te di tante cose che mi girano in testa. Lo scopo preciso è questo: De Filippis da Bari mi telefona perché io insista con te per indurti a venire a Bari al Convegno del 3-4 dicembre, dove giustamente ritengo la tua presenza e la tua relazione indispensabili. Lo faccio tanto più volentieri, in quanto, essendo anch’io relatore, non potrei fare a meno del tuo giudizio e di lunghe conversazioni con te. Spero quindi di avere conferma. Spero anche che al Convegno intervenga Ugo e altri amici di qui. Cosa sarà il Convegno esattamente non so: so soltanto che sarà un nostro nuovo incontro e un altro tentativo di dar precisione a idee nuove e necessarie (…)
Qualche volta ho l’impressione che nessuno lavori, che tutti aspettino per lavorare: chi dovrebbe costruire aspetta per costruire, chi dovrebbe far politica aspetta a farla, chi dovrebbe governare aspetta per governare. Ho l’impressione che a lavorare veramente, oggi, in questa Italia liberata non ci siano che la gente del mercato nero, le puttane e i contadini, oltre ai preti e la gente che ha da salvare le sue vecchie posizioni guadagnate negli anni andati. Questo, naturalmente, se per lavorare si intende quel che di solito si intende, cioè il fare una determinata cosa con un determinato scopo e con mezzi adeguati allo scopo. Gli altri, ripeto, aspettano sia poi questa aspettativa agitata e rumorosa o quasi inerte e tranquilla.
Aspettano: Aspettiamo che? A questa domanda non so trovare una risposta: aspettiamo d’aver toccato il fondo, il fondo che - è chiaro – non abbiamo toccato e senza del quale il fare non avrebbe senso.

domenica 5 agosto 2012

Tokelau, la prima nazione al mondo totalmente alimentata da energie rinnovabili

Di Giovanni Tortoriello | 05.08.2012 17:01


Semi-indipendente da un punto di vista politico, completamente indipendente da un punto di vista energetico. È lo strano caso di Tokelau, minuscola isola del Pacifico che non ha ancora ottenuto la totale indipendenza dalla Nuova Zelanda ma che a settembre diventerà la prima nazione al mondo totalmente alimentata da energie rinnovabili.
La nazione più piccola del mondo, dopo lo Stato del Vaticano, con appena 10 km2 di superficie e circa 1500 abitanti, ha deciso di smantellare l'alimentazione a gasolio che finora ha fornito l'energia elettrica per costruire una serie di moduli fotovoltaici che prenderanno il posto dei vecchi impianti inquinanti. 4.000 pannelli solari saranno installati sui tre atolli corallini che compongono Tokelau, Fakaofo, Atafu e Nukunon. Sul primo sono già stati installati 1584 moduli solari, sugli altri due i lavori sono ancora a metà del percorso, ma dovrebbero essere completati entro settembre. A quel punto Tokelau sarà completamente alimenta da energia ricavata da fonte rinnovabile.

La svolta green del piccolo stato del Pacifico presenta vantaggi sia in termini economici che ambientali. In un paradiso tropicale in cui il sole splende e fornisce energia tutto l'anno sembra assurdo continuare ad inquinare e correre il pericolo che le importazioni di combustibili fossili possano arrecare danni irreversibili all'ambiente.
Necessità ambientali che non vanno in contraddizione con l'aspetto economico.Fino ad oggi, Tokelau ha speso più di un terzo del suo prodotto interno lordo per l'energia elettrica dato che, a fronte di un PIL di appena 2,8 milioni di dollari, veniva speso un milione di dollari per acquistare circa 2.000 barili di diesel. Gli impianti fotovoltaici sono stati, invece, installati grazie ad un finanziamento di 7,5 milioni di dollari proveniente dalla Nuova Zelanda, prestito che le autorità di Tokelau ritengono riusciranno ad estinguere in 20 anni.
A queste cifre va aggiunto il risparmio garantito dai pannelli fotovoltaici, tanto che Mike Bassett, direttore della New Zealand Powersmart Solar, l'azienda che si sta occupando della costruzione dei pannelli fotovoltaici, ha dichiarato: "Ci aspettiamo che questo sistema si rimborsi da solo in cinque anni e che abbia una vita di 20 anni prima che sia necessario alcun tipo di manutenzione significativa".

mercoledì 1 agosto 2012

A Napoli l’acqua torna ad essere dell’azienda Bene Comune

di  | 1 agosto 2012 Il Fatto Quotidiano




Un tramonto e un’alba: potremmo rappresentare con questʼimmagine gli ultimi avvenimenti riguardanti la gestione del servizio idrico integrato. Il tramonto è quello dellaliberalizzazione/privatizzazione, lʼalba, il concretizzarsi di un modello possibile di gestione pubblica e partecipata. Dopo la sentenza 20 luglio 2012, n. 199 della Corte costituzionale e quella del Consiglio di Stato che ha fermato la cessione ai privati di un ulteriore 21% di Acea, unʼaltra buona notizia arriva dal Comune di Napoli: ieri è stato firmato lʼatto notarile per la trasformazione di Arin s.p.a. in Acqua Bene Comune Napoli.
La giunta De Magistris ne aveva fatto un punto cardine del proprio programma politico e, a pochi giorni dal referendum, aveva votato la delibera n. 32/2011: prendeva forma il primo caso di abbandono della s.p.a. e ritorno allʼazienda speciale come forma di gestione del servizio idrico integrato; per sintetizzare, basti dire che la seconda è un ente di diritto pubblico e non più una società di capitali. Ciò che viene smentito è il concetto, diffusosi dagli anni Novanta in poi, secondo cui il diritto positivo riferito ai beni essenziali alla vita debba essere fondato sul principio della loro rilevanza economica e imprenditoriale.