mercoledì 23 luglio 2014

L'immigrazione

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Emigranti europei sbarcano a Ellis Island, a New York, (USA), nel 1902
L'immigrazione è il trasferimento permanente o temporaneo di singoli o di gruppi di persone in un paese o luogo diverso da quello di origine; il fenomeno è l'opposto dell'emigrazione.
Si possono includere le migrazioni di popolazioni ed i movimenti interni ad un paese.
L'immigrazione è uno dei fenomeni sociali mondiali più problematici e controversi, dal punto di vista delle cause e delle conseguenze. Per quanto riguarda i paesi destinatari dei fenomeni migratori (principalmente le nazioni cosiddette sviluppate o in via di sviluppo),


Cause dell'immigrazione

Il fenomeno della migrazione può trovare origine in motivazioni:

  • in maniera forzata, dove chi migra è vittima della tratta di esseri umani. 
Un nostro piccolo pensiero a questi Uomini!!
 

Francesco De Gregori - Nero

Dalla periferia del mondo a quella di una città,
la vita non è una caravella, e il Nero lo sa.
Dimmi dove si va a dormire, dimmi dove si va a finire,
dimmi dove si va, il Nero che scarpe nere che c'haa!
Dalla periferia del mondo, il Nero Neronerò,
fu scaraventato non ancora giorno da un vecchio furgone Ford.
E si stropiccia gli occhi, balla e cammina
e canta sotto il cielo di Latina,
grande città del Nord,
il Nero che ritmo, che rock e che roll!
Dalla periferia del mondo a quella di una città,
la vita non è una passeggiata e il Nero lo sa,
preso a calci dalla polizia,
incatenato a un treno da un foglio di via
oppure usato per un falò,
il Nero te lo ricordi il Nero quando arrivò?
Un giorno con un pezzo di specchio
un orecchio si tagliò
e andava sanguinando avanti e indietro
e diceva "Sono Van Gogh!"
e aveva dentro agli occhi una malattia,
ma chissà quale tipo di malattia,
di malattia d'amor, il Nero, che amore il nero!
Nero Nerooo.

lunedì 21 luglio 2014

Francesco Guccini - Cirano


Cirano

Venite pure avanti, voi con il naso corto, signori imbellettati, io più non vi sopporto,
infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio perchè con questa spada vi uccido quando voglio.

Venite pure avanti poeti sgangherati, inutili cantanti di giorni sciagurati,
buffoni che campate di versi senza forza avrete soldi e gloria, ma non avete scorza;
godetevi il successo, godete finchè dura, che il pubblico è ammaestrato e non vi fa paura
e andate chissà dove per non pagar le tasse col ghigno e l' ignoranza dei primi della classe.
Io sono solo un povero cadetto di Guascogna, però non la sopporto la gente che non sogna.
Gli orpelli? L'arrivismo? All' amo non abbocco e al fin della licenza io non perdono e tocco,
io non perdono, non perdono e tocco!

Facciamola finita, venite tutti avanti nuovi protagonisti, politici rampanti,
venite portaborse, ruffiani e mezze calze, feroci conduttori di trasmissioni false
che avete spesso fatto del qualunquismo un arte, coraggio liberisti, buttate giù le carte
tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese in questo benedetto, assurdo bel paese.
Non me ne frega niente se anch' io sono sbagliato, spiacere è il mio piacere, io amo essere odiato;
coi furbi e i prepotenti da sempre mi balocco e al fin della licenza io non perdono e tocco,
io non perdono, non perdono e tocco!

Ma quando sono solo con questo naso al piede
che almeno di mezz' ora da sempre mi precede
si spegne la mia rabbia e ricordo con dolore
che a me è quasi proibito il sogno di un amore;
non so quante ne ho amate, non so quante ne ho avute,
per colpa o per destino le donne le ho perdute
e quando sento il peso d' essere sempre solo
mi chiudo in casa e scrivo e scrivendo mi consolo,
ma dentro di me sento che il grande amore esiste,
amo senza peccato, amo, ma sono triste
perchè Rossana è bella, siamo così diversi,
a parlarle non riesco: le parlerò coi versi, le parlerò coi versi...

Venite gente vuota, facciamola finita, voi preti che vendete a tutti un' altra vita;
se c'è, come voi dite, un Dio nell' infinito, guardatevi nel cuore, l' avete già tradito
e voi materialisti, col vostro chiodo fisso, che Dio è morto e l' uomo è solo in questo abisso,
le verità cercate per terra, da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali;
tornate a casa nani, levatevi davanti, per la mia rabbia enorme mi servono giganti.
Ai dogmi e ai pregiudizi da sempre non abbocco e al fin della licenza io non perdono e tocco,
io non perdono, non perdono e tocco!

Io tocco i miei nemici col naso e con la spada,
ma in questa vita oggi non trovo più la strada.
Non voglio rassegnarmi ad essere cattivo,
tu sola puoi salvarmi, tu sola e te lo scrivo:
dev' esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto
dove non soffriremo e tutto sarà giusto.
Non ridere, ti prego, di queste mie parole,
io sono solo un' ombra e tu, Rossana, il sole,
ma tu, lo so, non ridi, dolcissima signora
ed io non mi nascondo sotto la tua dimora
perchè oramai lo sento, non ho sofferto invano,
se mi ami come sono, per sempre tuo, per sempre tuo, per sempre tuo...Cirano

lunedì 14 luglio 2014

DAVID DONATO


David Donato (Feroleto Antico il 5 ottobre 1926 – Pizzo il 20 gennaio 2009) giornalista-poeta-scrittore e commediografo.  autore, al quale è stata intitolata la prima rassegna di teatro dialettale svoltasi a Scandale (KR) nell'estate 2013 .


 La Banda Comunale

Dalla raccolta “Carosello Pizzitano” (1979)

È invalsa l’abitudine di dire peste e corna del governo borbonico, ma non è giusto. Una rivalutazione dovuta a intelligenti rimeditazioni da parte di storici e di scrittori senza preconcetti, si è avuta di recente per mano di Alianello col romanzo «L’Alfiere» e di Cucentroli di Monteloro con «La difesa della fedelissima Civitella d...el Tronto», per cui posso affermare, in tutta tranquillità, che del buono vi fu durante il regno dei Borboni. Soltanto per pagare il prezzo imposto dall’unità d’Italia fu necessario abbatterne le strutture a favore del concorrente sabaudo, che seppe fare da catalizzatore a una situazione politica e, più ancora, a un’aspirazione che serpeggiava da secoli fra le genti della penisola. Ma non è una lezione di storia che voglio tenere, qui. Desidero, invece, parlarvi della banda comunale di Pizzo che proprio i Borboni vollero e incoraggiarono sempre, destinando alla nostra Città i migliori maestri-concertatori che uscivano dal famoso Conservatorio di San Pietro a Maiella. E bisogna aggiungere che il terreno per seminare solfeggio e strumentistica fu fertilissimo. I pizzitani dimostrarono attitudine e passione profonde per la musica, che recepirono subito e apprezzarono a lungo, sino oltre il mezzo secolo di questo nostro tempo, passando un lungo elenco di valenti maestri, quali Mugnone, Squillacioti, Di Leo, Ragusa, Belvedere, Guarino, Rosi. Questi prepararono generazioni di ottimi suonatori. Ricordarli tutti è impossibile. Tra i più vicini a noi: Bruno Perri, clarinetto, assunto dalla Banda della Regia Aeronautica; Luca Procopio, primo basso, assunto dalla Banda dei Carabinieri; Salvatore Trovato, il migliore bombardino d’Italia, disputato dai più grandi complessi bandistici nazionali; Franco Rosi, clarinetto, solista anche lui nelle migliori bande della penisola. E, poi, tutta una schiera di elementi di grande talento, fioriti anche a gruppi nelle famiglie Durante, De Matteo, Vallone, Romano, Raneli, Fragalà, Procopio, Ventura, Caridà, Francica, Rossa, Averta, Caprino, Galeano, Galastro, citate così, alla rinfusa, come vengono alla mia memoria e mi scuso se ne dimentico qualche altra.
Ai concerti preparatori, bisettimanali sin dal principio, prendevano parte tutti gli effettivi del corpo bandistico e i numerosi allievi. Questi ultimi, quando erano ritenuti maturi dal maestro, venivano lanciati, per tradizione, durante la festa di San  Giuseppe, il 19 marzo di ogni anno.
La popolazione, attenda alle vicende della sua banda, quel giorno d’apertura della stagione musicale, aspettava, con viva partecipazione, di notare quali e quanti nuovi elementi erano stati immessi fra gli effettivi. In tale modo si creavano dei ricambi, freschi e validi, per quanti anziani avessero lasciato o per quanti fossero stati scritturati da bande di altre regioni. Suonatori di Pizzo, infatti, sono andati ad infoltire le file di rinomati concerti come quelli di Roccasecca e di Lanciano, diretti in momenti diversi, dal più celebre maestro che Pizzo abbia mai dato alla musica bandistica, l’indimenticato e indimenticabile comm. Pietro Marincola, una vera personalità nazionale in questo campo.

sabato 12 luglio 2014

........In Calabria, si può!!!!

Comuni Ricicloni 2014 - Casole Bruzio, nel cuore della Calabria si  differenzia il 90% dei rifiuti 

 Da vedere assolutamente, cambiare da noi si può!!!

giovedì 10 luglio 2014

Elogio della solitudine

 
 
 Anime Salve, che trae il suo significato dall’ origine, dall’ etimologia delle due parole " Anime salve", vuol dire Spiriti Solitari è una specie di elogio della solitudine, si sa non tutti se la possono permettere, non se la possono permettere i vecchi, non se la possono permettere i malati, non se la può permettere il politico.
Un politico solitario è un politico fottuto di solito.
Però... sostanzialmente quando si può rimanere soli con se stessi io credo che si riesca ad avere più facilmente contatto con il circostante. Il circostante non è fatto soltanto dei nostri simili, direi che è fatto di tutto l’ universo, dalla foglia che spunta di notte in un campo fino alle stelle … e...ci si riesce ad accordare meglio con questo circostante, si riesce a pensare meglio ai propri problemi, credo addirittura che si riesca a trovare anche delle migliori soluzioni e siccome siamo simili ai nostri simili, credo si possano trovare soluzioni anche per gli altri.
Con questo non voglio fare nessun “panegirico” né dell’ anacoretismo o del romitaggio, non è che si debba fare gli eremiti o gli anacoreti, é che ho constatato attraverso la mia esperienza di vita, ed è stata una vita, non é che dimostro di avere la mia età attraverso la carta d’ idendità, credo d’ averla vissuta, mi son reso conto che un uomo solo non mi ha mai fatto paura. Invece l’ uomo organizzato mi ha sempre fatto molta paura...»

Fabrizio De André

sabato 5 luglio 2014

IL POPOLO ITALIANO HA PAURA DI CAMBIARE ?

:
 

PENSIERI DAL WEB

ll Sistema Politico Italiano
Riforme e cambiamenti per non cambiare mai ?


In molti dicono che non vogliono avere a che fare con la politica e con i partiti, ma tutti regolarmente abbiamo a che fare con essi, ed anche quando non ce ne vogliamo occupare, “essi”si occupano di noi, e così è da sempre,  e da sempre si fanno riforme e riforme senza che mai si sia arrivato a ciò che tutti vorremmo ma che il “Sistema politico”  non ci permette di fare, il perché è facile intuirlo, chi realmente vuole che non si cambi è chi in questo sistema  ne trae vantaggio, ed insieme a questi anche chi pensa che un giorno ne può trarre vantaggio.



Gli altri le persone comuni   seguono il sistema “inerti” o senza rendersi conto di seguire uno schema prestabilito che porta vantaggio ai soliti,soliti che un giorno chiamiamo “casta ” un altro “egoisti” un altro “sfruttatori” un altro “delinquenti” o “mafiosi”ma tutti difensori di questo “Sistema”.



In questo sistema, c’è  anche gente “ onesta” che crede ai sani principi della democrazia, crede nei valori fondanti della Costituzione ed al fatto che il “Popolo è Sovrano”ma poiché fa parte del sistema ne è  vittima , il  sistema  gli dà  la possibilità di dirigere , ma non quella di cambiare .

Il malcapitato si troverà circondato da quelle categorie  (“mafiosi ”, “egoisti”, “sfruttatori”, “delinquenti”, “casta”).che non gli daranno nessuna possibilità di cambiamento .



Come si può ovviare a questo? In un modo molto semplice “non Delegare” gli altri.



Si dirà  ovviamente ma non tutto il popolo può andare a governare fisicamente! Verissimo, ma il popolo può eleggere

i rappresentanti  senza dare loro la delega di decisione , la decisione deve rimanere in mano al POPOLO

per cui gli eletti devono avere solo la funzione di “portavoce del Popolo” (o dei cittadini), 

per assurdo dovranno  avanzare le proposte del popolo e magari non essere tra i favorevoli della proposta.


venerdì 4 luglio 2014

LA STORIA SIAMO NOI



LA STORIA
di Antonio Piccolo
La storia
da Scacchi e tarocchi (1985)

La storia siamo noi, nessuno si senta offeso,
siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo.
La storia siamo noi, attenzione,
nessuno si senta escluso.
5          La storia siamo noi,
            siamo noi queste onde nel mare,
questo rumore che rompe il silenzio,
questo silenzio così duro da masticare[1].

E poi ti dicono: "Tutti sono uguali,
10        tutti rubano nella stessa maniera".
            Ma è solo un modo per convincerti a restare chiuso dentro casa,
quando viene la sera.
Però la storia non si ferma davvero davanti a un portone
La storia entra dentro le stanze[2] e le brucia,
15        la storia dà torto e dà ragione[3].

La storia siamo noi,
siamo noi che scriviamo le lettere,
siamo noi che abbiamo tutto da vincere e tutto da perdere[4].

E poi la gente (perché è la gente che fa la storia),
20        quando si tratta di scegliere e di andare,
            te la ritrovi tutta con gli occhi aperti,
che sanno benissimo cosa fare:
quelli che hanno letto milioni di libri
e quelli che non sanno nemmeno parlare
25        ed è per questo che la storia dà i brividi,
            perché nessuno la può fermare[5].

La storia siamo noi,
siamo noi padri e figli.
Siamo noi, bella ciao, che partiamo.
30        La storia non ha nascondigli,
            la storia non passa la mano.
La storia siamo noi,
siamo noi questo piatto di grano.

Un’apologia della storia.
Questa è la definizione che meglio sintetizza il significato di questa canzone, che si annoda su un messaggio, espresso all’inizio e più volte ribadito: “è la gente che fa la storia”. Una concezione illuministica contrapposta alla concezione antica e latina in particolare, secondo cui sono i grandi personaggi (Alessandro, Cesare, Augusto etc.) a fare la storia, che tra l’altro sarebbe “scienza del passato”. 
L’autore è chiaro ed esplicita fin dall’inizio il senso del brano, con un’anastrofe[6] efficace: “la storia siamo noi” (anziché “noi siamo la storia”). Ma necessariamente c’è un invito a fermarsi, perché De Gregori non sta affermando nulla di rivoluzionario e tale concezione idealistica, se da un lato dà importanza a tutti, dall’altro blocca decisamente ogni idea di autocompiacimento: noi siamo la storia, è vero, ma cos’è poi la storia? Un “prato di aghi sotto il cielo”, moltitudine informe e inerme al corso degli aventi. Ma non è una visione fatalistica della storia, visto che subito si canta che siamo anche “onde nel mare”, cioè movimento, parte influente in ciò che accade, anche se solo in parte (secondo la proporzione onde-mare). Siamo da un lato rumore nel silenzio (movimento) e dall’altro silenzio (stasi). Un silenzio difficile da comprendere nel profondo (“duro da masticare”) e, di conseguenza, anche da spiegare e “raccontare” agli altri. Nessuno deve sentirsi offeso, perché questo “noi” non è un soggetto parziale, non è una contrapposizione noi-voi: sta ad intendere “noi, genere umano” e (“attenzione”) nessuno deve sentirsi escluso, nel bene, ma anche nel male.
In questi pochi versi De Gregori non fa altro che riaffermare la concezione moderna della storia, vista come intreccio complesso di fenomeni e processi disparati, del quale l’uomo è protagonista, ma sempre come parte del tutto: “complice del suo destino”2, ma anche “figlio del suo tempo”[7]. Ecco forse una delle migliori definizioni mai scritte: “«Scienza degli uomini», abbiamo detto. È ancora troppo vago. Bisogna aggiungere: «degli uomini, nel tempo». Lo storico non pensa solo «umano». L’atmosfera in cui naturalmente il suo pensiero respira è la categoria della durata”[8]. 

Ecco che il brano, pur mantenendo il tono di una verosimile elegia alla storia soprattutto per effetto della melodia dolce, pare trasformarsi in più occasioni in una canzone-denuncia contro il qualunquismo e la banalità, prima di prendere una chiara svolta anti-revisionista. L’io lirico dà il tu ad un uomo qualunque, uno dei tanti aghi sotto il cielo, come a svegliarlo dalla propria incoscienza. Alle persone che dicono “tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera” viene dedicato un vago ed impersonale “ti dicono”, come a dire che non meritano d’essere menzionate con precisione, dove quell’ “e poi” sottolinea il sarcasmo. Un’accusa a quelli che non vogliono altro che farti chiudere in casa, farti rimanere chiuso nella tua caverna (mito platonico). Inutile, perché si può banalizzare la storia, evitarla, eluderla, ma tanto “nessuno la può fermare”, come canterà successivamente: la storia va oltre il portone ed entra, incendia le stanze della tua casa dove ti sei nascosto (dal vivo De Gregori canterà anche “le NOSTRE stanze”, ribadendo di non escludere nessuno, neanche se stesso). E una volta fatta irruzione ovunque, la storia emette sempre la propria sentenza inequivocabile, “dà torto e dà ragione”, alla faccia di chi vuole ignorarla. E si torna a ribadire che noi siamo la storia, anche in un’azione quotidiana come quella di scrivere, anche la gente comune che non indirizza gli eventi a proprio vantaggio: quelli che non posseggono niente e hanno “tutto da vincere”, quelli che, al contrario, potrebbero perdere tutto e poi la stragrande maggioranza che ha “tutto da vincere e tutto da perdere”, che subisce una vera sconfitta solo se non si mette in gioco. Un’incitazione a riappropriarsi del proprio ruolo nella storia, a svegliarsi dal buio nel quale qualcuno vuole farci soccombere: “la canzone La storia è una specie di inno alla nostra necessità di essere parte consapevole dei tempi che viviamo”[9].

Non si tratta di riuscire ad acquisire un ruolo nella storia, ma di essere consapevoli del ruolo che già si possiede, tant’è vero che la gente “quando si tratta di scegliere e di andare / te la ritrovi tutta con gli occhi aperti / che sanno benissimo cosa fare”. Una scelta pronta e sicura, in cui la cultura non è una discriminante, non importa quanti libri si sono letti. Una scelta che porta a delle conseguenze storiche comunque: consapevoli o meno, la storia “nessuno la può fermare”, va avanti con le sue conseguenze provocate da qualcosa o qualcuno di ben preciso, “è per questo che la storia dà i brividi”, ed è per questo che è ancora più necessaria una coscienza storica. Visto che De Gregori, quando si esibisce dal vivo, ha molto spesso sostituito al verbo “fermare” il verbo “cambiare”, teniamo conto di questa modifica. Il messaggio diventa ancora più esplicito: consapevoli o meno, la gente fa le sue scelte che modificano il corso degli eventi, che possono portare cose buone (libertà, uguaglianza), ma anche cose cattive (fascismo, nazismo, genocidi). Forse qualcuno potrà spiegare, qualcun altro giustificarsi, ma una cosa è certa: ci sono precisi meriti e precise colpe, la storia parla chiaro, “nessuno la può CAMBIARE”. C’è una linea di continuità con quanto espresso prima, cioè che “la storia dà torto e dà ragione”, solo che, mentre quella era un’affermazione, questa è una negazione espressa da quel “nessuno”. È un netto no al revisionismo sfrenato, messo ancora più in luce se si canta “nessuno la può NEGARE”, come fa De Gregori da un po’ di tempo a questa parte. Impressionante, in questo punto, la somiglianza con “La storia”[10], poesia di Eugenio Montale: “La storia non è prodotta / da chi la pensa e neppure / da chi la ignora”.

giovedì 3 luglio 2014

Dott.Doberman - F. de gregori


Da youtube:
Non sono un falso moralista. E non sono contrario all'aborto a prescindere. Mi piace questa canzone del grande De Gregori che spiega come un "peccato" sia da condannare in pubblico ma diventi lecito e remunerativo quando fatto di nascosto.
PRINCIPEMAGGIO --